mercoledì 6 febbraio 2013

I Riti della Settimana Santa a Taranto




I riti della Settimana Santa iniziano il pomeriggio del Giovedì Santo. I Perdoni escono dalla Chiesa del Carmine procedendo in pellegrinaggio verso le principali chiese del Borgo Antico e del Borgo Nuovo. I Perdoni sono detti anche poste o coppie di Confratelli, appartengono Chiesa del Carmine e, durante il pellegrinaggio, camminano lentamente in giro per la città con un dondolio continuo detto“nazzecata”.  Il loro nome “Perdoni” (in dialetto tarantino Le Perdun) si pensa si riferisca ai pellegrini che si recavano a Roma per chiedere il perdono dei propri peccati.  Sono scalzi ed indossano un camice bianco, un cappuccio bianco con due forellini all'altezza degli occhi, una corona di sterpi poggiata sul capo; guanti bianchi, un rosario nero appeso in vita con medaglie sacre ed un crocifisso oltre a una cinghia di cuoio nero attaccata in vita e, infine, portano una mazza alta circa due metri che simboleggia l'antico bastone dei pellegrini. 

Entro la mezzanotte del Giovedì rientrano nella chiesa madre nello stesso momento in cui dalla Chiesa di San Domenico del Borgo Antico parte la Processione della Madonna Addolorata che percorre ne le strade giungendo sino al Borgo Nuovo per poi ritornare nella chiesa del Carmine. La statua della Madonna viene trasportata dai confratelli che indossano il loro vestito tradizionale composto da un camice bianco, un rosario nero appeso in vita con medaglie sacre ed un crocifisso, una cinta di stoffa nera bordata di bianco con quattro fasce, una mozzetta nera bordata di bianco, abbottonata sul davanti e con una piastra di metallo raffigurante l'Addolorata; un cappello nero bordato di bianco, un cappuccio bianco con due forellini all'altezza degli occhi, una corona di sterpi poggiata sul capo, calze e guanti bianchi, scarpe nere con coccarde nastro bianco e bottone nero applicati su di esse. La processione è accompagnata da marce funebri, è composta dal Troccolante che apre la processione al suono della Troccola; dalle Pesare che rappresentano le pietre scagliate contro Gesù; dalla Croce dei Misteri; la Terza Croce; la Seconda CroceLa Prima Croce, il Trono, l'Addolorata. Vi sono inoltre quattro coppie di poste prima dei Crociferi e due prima del Trono, nonché due Mazze che hanno il compito di mantenere ordinata la processione e di sostituire i confratelli in caso di necessità. La Processione dell’Addolorata dura tutta la notte e si conclude il pomeriggio del Venerdì Santo quando dalla Chiesa del Carmine parte la Processione dei Misteri costituita dalle statue che simboleggiano la passione di Gesù. Gli elementi della processione sono i seguenti: Troccola, strumento che apre ancora una volta la processione, il Gonfalone, ovvero la bandiera della confraternita, la Croce dei misteri, il Cristo all'Orto, la Colonna, l'Ecce Homo, la Cascata, il Crocifisso, la Sacra Sindone, il Gesù Morto, l'Addolorata. Vi sono inoltre tre coppie di poste sistemate davanti alle statue e sette Mazze che hanno il compito di mantenere ordinata la processione e di sostituire i confratelli in caso di necessità. 


La processione rientra nella Chiesa del Carmine la mattina del Sabato Santo quando il  Troccolante bussa con la mazza sulla porta della Chiesa affinché venga aperta per riaccogliere le statue.

Ida

martedì 5 febbraio 2013

Ricetta 12: Taralli Pasquali


Taralli pasquali di Taranto - Dolci e salati
Tra tutti i piatti tipici della Pasqua ho scelto i taralli (dolci e salati), specialità pugliese semplice da preparare come aperitivo o come dolce per il fine pasto. C’è una lunga storia che accompagna la preparazione dei taralli, storia che fa parte delle tradizioni di questa città e che ha un significato preciso spiegato anche nelle due ricette che leggerete di seguito.




Ingredienti per i taralli dolci
Farina 00 1 Kg
Zucchero 400 + 50 gr
Uova 6 + 1
Olio di semi di Girasole 250 cc
2 bustine di lievito in polvere per dolci
Scorza di una arancia e di un limone
Latte fresco intero q.b.

Preparazione
Fare la classica fontanella di farina, aggiungere lo zucchero e il lievito setacciandolo per evitare grumi; il lievito lo si può anche aggiungere ben sciolto in un po' di latte. Grattugiare la buccia dell'arancia e del limone. Rompere le sei uova in una coppa e versarle nella fontanella. Incorporare dolcemente l'olio di semi e ritornare ad impastare. Aggiungere del latte in modo da ottenere una pasta morbida ma non troppo, deve essere tale da adagiarsi dolcemente nella coppa in cui viene riposta. Formare i biscotti, le cui forme hanno un preciso significato collegato alla Passione di Cristo. I taralli tondi rappresentano la Corona di Spine, quelli a forma di treccina rappresentano la Frusta e quelli dalla forma un po’ più “strana” rappresentano, con un po' di fantasia, le Tenaglie. Spennellare con un uovo sbattuto e spolverare con zucchero semolato.
Infine porre le teglie infarinate, o rivestite di carta da forno, nel forno a 170° finché non assumono una bella colorazione dorata. Appena pronti riponeteli su un vassoio, o un piatto, per poi servirli accompagnati dal Primitivo dolce, ma anche secco, o da una Malvasia, nel quale possono anche essere inzuppati.
  


Ingredienti per i taralli col pepe
Farina 00 1 Kg
2 tavolette lievito di birra
Bianco Martina q.b.
Pepe macinato al momento q.b.
Sale q.b.

Preparazione
Nella fontanella di farina con la sua casetta del sale (per chi non lo sapesse, quando si fa una pasta lievitata sale e lievito non devono venire a contatto diretto per cui il sale si mette in un fossetto laterale, la casetta del sale, e viene incorporato nella farina che ha già incorporato il lievito) aggiungere il lievito, stemperato in un po' di acqua tiepida, cominciare a impastare aggiungendo tutto l'olio e quindi il vino, fino ad avere una consistenza piuttosto morbida, aggiungere pepe appena macinato senza lesinare. Formate i taralli, lasciarli crescere coperti con una tovaglia per più di tre ore, saranno pronti quando diventeranno belli panciuti e leggeri. Infornare a 170°C e cuocere fino ad una belle doratura. Anche questi, una volta pronti, poneteli su di un vassoio, o piatto, per servirli, magari accompagnati da un buon vino o amaro.

Ida


mercoledì 30 gennaio 2013

Appunti su...“Piacere! … Conversano”

Cari lettori, penso che il titolo renda il concetto…in questo approfondimento  vi presenterò la mia città, Conversano, facendovi conoscere i luoghi più visitati e più interessanti dal punto di vista storico e/o artistico.

Le sue origini risalgono all'età del ferro e il primo nucleo abitativo che vi si insediò, costituito da popolazioni indigene, le diede il nome di Norba, ovvero città fortificata.


 IL CASTELLO.

Il Castello, il nucleo più antico dell'attuale costruzione, risale probabilmente al XII sec., ed era costituito semplicemente  da quattro torri unite da alte mura.In origine di forma trapezoidale, fu costruito dal normanno Goffredo Altavilla intorno all'anno 1000, utilizzando come fondamenta, in alcune parti, le mura megalitiche dell'antico centro peuceta, risalenti al VI-IV secolo a.C. Tra il XV e il XVIII secolo d.C. una serie di interventi trasformò il castello da fortezza militare in residenza signorile della famiglia Acquaviva d'Aragona.


LA BASILICA CATTEDRALE.

La Cattedrale è senza dubbio la chiesa medievale più importante, il punto di raccolta e di riferimento spirituale dell'intera comunità. La sua costruzione fu avviata tra la fine del XI e l'inizio del XII sec.
Iniziata dai Normanni tra la fine dell'XI e l'inizio del XII sec., la chiesa, in stile romanico pugliese, fu ampliata da Monsignor Pietro d'Itri nel 1359 e ulteriormente modificata nei secoli successivi. Ha tre navate e facciata tripartita da lesene. La navata di sinistra conserva un affresco absidale trecentesco e l'icona della Madonna della Fonte, protettrice del paese; la navata destra un crocifisso ligneo cinquecentesco.
Dal 1997 basilica minore, è dedicata alla Vergine Assunta. 

IL CASTELLO MARCHIONE.

Situato sulla provinciale per Putignano a circa 6 km dal centro di Conversano, il Castello di Marchione (oggi Monumento Nazionale)era casa di caccia degli Acquaviva d’Aragona, Conti di Conversano.
Essi risiedevano abitualmente nel Castello di Conversano ed usavano Marchione quale tenuta venatoria, costituita da un bosco di querce e macchia mediterranea ed estesa circa 1.260 ettari. Di questo meraviglioso bosco sopravvive un solo esemplare di quercia, la cui età è valutabile in circa cinque secoli.
La leggenda vuole che un passaggio sotterraneo collegasse Marchione con il Castello di Conversano.

LA PINACOTECA CIVICA.

Dal dicembre del 1999, gli antichi saloni del conte Giangirolamo II sono sede della Pinacoteca Civica.
 In essa è esposto il ciclo pittorico della Gerusalemme Liberata, dieci tele che il pittore Paolo Finoglio dipinse, a partire dal 1640, per esaltare l'eroismo del conte Giangirolamo.

 IL PALAZZO MUNICIPALE.

Il Palazzo municipale, originariamente convento dei frati francescani, fu fondato in epoca angioina. Delle originarie forme di quest’epoca restano poche tracce, inglobate nelle strutture neoclassiche dopo i vari lavori di rifacimento e di restauro. La collocazione della sede del Municipio nel Convento Francescano è successiva alla soppressione dell’ordine monastico, verificatasi verso la metà dell’Ottocento. Va, tuttavia, detto che l’antica Università di Conversano, il comune cittadino, cominciò ad usare una parte del complesso conventuale molti secoli prima; probabilmente già verso la fine del XV secolo, con pubbliche riunioni e assemblee nel Chiostro, e con la sistemazione di un archivio nella Sacrestia della Chiesa.
La sera del 20 maggio del 1886 il Palazzo Municipale venne incendiato e saccheggiato, in seguito ad un violento tumulto popolare. Il Progetto generale d’intervento fu affidato all’architetto Sante Simone.

Patrizia.

lunedì 28 gennaio 2013

Ricetta 11: Pasta alla San Giuannin

Buon pomeriggio lettori.
La proposta di oggi è quella di un primo molto tipico della mia città, la Pasta alla San giuannin (pasta alla San Giovannello), perfetto per chi piace mischiare i saporti forti delle acciughe, con quelli delicati delle olive nere.

INGREDIENTI:
350 gr di spaghetti;
Acciughe q.b. ;
400 gr di pomodori pelati;
olive nere q.b. ;
aglio;
capperi q.b. ;
olio;
sale;
pepe.

PROCEDIMENTO:
Ponete sul fuoco una casseruola con abbondante acqua salata e portate ad ebollizione in modo tale da poter cuocere la pasta.
Nel frattempo, in un tegame mettete 2 cucchiai di olio, l'aglio e le acciughe.
Soffriggete fino a quando l'aglio sarà dorato, e successivamente aggiungete i pomodori pelati, le olive nere, i capperi e poco sale.
Fate insaporire il tutto per qualche minuto a fuoco vivo.
Una volta cotta la pasta (preferibilmente cottura al dente), scolatela e conditela con il sughetto preparato precedentemente.

I MIEI CONSIGLI:
Mettete in una padella un po’ d’olio e del pan grattato a cottura bassa, e mescolate fino a qiando il pan grattato non avrà assorbito l’olio e si formeranno delle molliche di pane.
Spargete le molliche ottenute in ogni porzione di pasta fatta, in modo da arrichire il vostro piatto.

Patrizia.

sabato 26 gennaio 2013


Musei di Bitonto
Bitonto, per la sua storia artistico-culturale, si configura come una città d'arte dotata di affascinanti monumenti e di un sistema museale caratterizzato da un patrimonio vasto e differenziato.
A Bitonto è possibile visitare musei che dispongono di innumerevoli opere di artisti non solo italiani ma anche stranieri.
I musei da poter visitare sono:

Galleria nazionale della Puglia
La Galleria Nazionale della Puglia "Girolamo e Rosaria De Vanna" è una pinacoteca che ha sede nel Palazzo Sylos-Calò a Bitonto, edificio rinascimentale risalente alla prima metà del XVI secolo.
La galleria conserva opere di provenienza soprattutto meridionale. In particolare, sono presenti opere di: Tiziano, Veronese, Orazio e Artemisi Gentileschi, Bernardino Mei, Iaquinto, Delacroix, De Nittis e Francesco Netti. 
Le raccolte sono frutto di una donazione da parte dei fratelli collezionisti Girolamo e Rosaria De Vanna, cui il museo è intitolato, i quali hanno messo a disposizione gran parte di una ricchissima collezione privata, formata da 229 dipinti e 108 disegni di importanti artisti italiani e stranieri, collocabili tra il XVI ed i primi del XX secolo. Per quanto riguarda l'arte contemporanea, sono presenti opere provenienti anche dagli Stati Uniti.
La pinacoteca è stata inaugurata il 18 aprile 2009, e sono attualmente esposti 166 dipinti suddivisi in cinque sezioni.
La raccolta è opera di un intenso lavoro di ricerca, durato più di quarant'anni. La sezione più ricca è naturalmente quella dedicata all'arte italiana, con interessanti esemplari di pittura napoletana e pugliese seicentesca-settecentesca, ma ci sono anche opere di altre epoche e  di varie provenienze.
Tra le opere rinascimentali sono presenti una deliziosa “Natività” di Pietro Negroni, e le tele dei maggiori artisti veneti del XVI secolo, come il “Ritratto di gentiluomo” di Tiziano Vecellio, e la “Maddalena” di Paolo Veronese. Le sale ospitano anche opere di provenienza centro-settentrionale come “San Carlo Borromeo” di Giovanni Antonio Figino, e il “San Giovanni Battista” del fiammingo Jan Soens.
Il Seicento è una delle sezioni più vaste della raccolta, grazie ai nomi del calibro di Orazio Gentileschi, Artemisia Gentileschi, Salvator Rosa, Luca Giordano, Francesco Solimena, Corrado Giaquinto, agli eccezionali capolavori di Giovanni Lanfranco, autore del toccante “Congedo di Cristo dalla Madre” dipinto "simbolo" del museo. Sono esposte anche opere di artisti spagnoli come il “Ritratto di uomo con baffi e pizzetto” di Diego Velázquez, e il “Ritratto di domenicano” di El Greco. Altri simboli del museo sono due opere del francese Nicolas Poussin: la prima dal titolo “Ninfa e satiro che beve”; l'altra è il bozzetto del grandioso capolavoro che l'artista lasciò in Vaticano, ossia il “Martirio di sant' Erasmo”.
Il Settecento è rappresentato soprattutto da opere di artisti napoletani, come  De Matteis, De Mura, Filippo Falciatore, Giaquinto, Giacinto Diano e Sebastiano Conca, opere di D'Anna e Mariano Rossi, Batoni, Milani, ma anche dipinti di alcuni grandi artisti europei come Melendez, Lorenzo Tiepolo, Füssli e Hamilton. Le sale ospitano opere di Eugène Delacroix, Antoine-Jean Gros, Franz Xaver Winterhalter, Franz von Lenbach, assieme ai dipinti italiani di Francesco Speranza, Giuseppe De Nittis, Gioacchino Toma, Francesco Netti e Domenico Morelli.

Per ulteriori informazioni è possibile visitare il sito: www.gallerianazionalepuglia.beniculturali.it

Museo Diocesano “Aurelio Marena”
Il Museo Diocesano "Aurelio Marena" è stato creato tra il 1969 e il 1970, ed è ospitato dalla curia vescovile, detto anche in dialetto bitontino Cretigghie de menzegnaure, ovvero Cortile del monsignore.
Si tratta del museo della diocesi di Bari – Bitonto, che raccoglie i beni artistici della concattedrale di Bitonto.
Il museo è disposto sui tre piani del palazzo:
  • il primo piano è dedicato alla pittura dell'Ottocento e del Novecento in Puglia. Vi sono esposti vasi di Sèvres, arredi sacri del XIX e del XX secolo, manufatti dell’età pre-classica e argenti di manifattura napoletana del XV e XVI secolo, tra cui indumenti liturgici;
  • il secondo piano è dedicato ai dipinti dei secoli Seicento e Settecento, ma vi sono anche sculture del XV e XVII secolo;
  • nel terzo piano sono sistemate opere realizzate da artisti della scuola bitontina del XVII secolo, come Alfonso de Corduba, Carlo Rosa, Nicola Gliri, e Francesco Altobelli.
La ricca collezione ospitata nel museo diocesano sarà a breve trasferita presso l'ex seminario vescovile annesso alla chiesa di San Francesco della Scarpa. La struttura ospiterà oltre 2500 pezzi e sarà il museo diocesano più grande del mezzogiorno.


Museo archeologico De Palo-Ungaro
 Il museo raccoglie reperti pre-romani rinvenuti nel territorio comunale, offrendo un quadro molto dettagliato su quella che fu la civiltà Peuceta e la vita culturale della città bitontina in quel periodo storico. La pinacoteca ospita due mostre permanenti "Gli antichi Peucezi a Bitonto" e "Donne e Guerrieri da Ruvo a Bitonto", che raccolgono reperti datati fra il VI e il III secolo a.C. rinvenuti nella necropoli di via Traiana. I numerosi corredi funebri esposti sono ricchi di reperti ceramici e metallici, risalenti all'età arcaica e tardo ellenistica, e che consentono quindi di tracciare l'evoluzione economica e sociale della civiltà Peuceta e di conoscerne usi e costumi. Nelle sale i reperti sono esposti secondo un criterio cronologico che permette di ricostruire l'evoluzione e le influenze di civiltà limitrofe sull'artigianato locale, sono presenti decorazioni proprie della produzione peuceta, come il vasellame a vernice nera con figure rosse tipiche della civiltà greca, sono conservati monili, collane, anfore decorate con corpi di donne vestite di chitoni, ma anche cinturoni, strigili, a testimonianza della cultura guerriera dei peuceti.
È possibile anche visitare il sito: www.fondazionedepaloungaro.jimdo.com

Museo civico Rogadeo
Venne aperto al pubblico nel 1962, prendendo il nome dal palazzo che lo ospita, il seicentesco palazzo Rogadeo, attualmente sede anche della biblioteca comunale. Vi sono esposti soprattutto reperti archeologici come ceramiche di epoca greco-romana rinvenuti nel territorio bitontino, un monetario, sculture e dipinti del XVII-XVIII secolo. Al pianterreno vi è la pinacoteca che conserva opere di artisti pugliesi dell'Ottocento.



Raffaella




venerdì 25 gennaio 2013

Ricetta 10: Pasta e fagioli


Buongiorno cari lettori....
oggi vi propongo un'altra ricetta della tradizione culinaria bitontina: pasta e fagioli.
Considerato un piatto molto “povero” è allo stesso tempo nutriente e molto saporito.

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
300 gr. di pasta fresca
500 gr. di fagioli
3 pomodorini
sale
100 gr. dadini di lardo
prezzemolo

PREPARAZIONE
Mettete a bagno per un'ora i fagioli, dopodiché cambiate l'acqua e cucinateli vicino al fuoco in un recipiente di creta. Una volta cotti, occorre cambiare ulteriormente l'acqua e aggiungere pomodorini, sale, dadini di lardo e prezzemolo. Attendete fino a quando non sia ben cotto.
Nel frattempo cucinate la pasta fresca in una pentola piena d'acqua e, a metà cottura, scolatela e incorporatela ai fagioli. Continuate a cuocere fino a quando la pasta non sarà completamente cotta. E' possibile insaporire il piatto con un po' di pepe, un'aggiunta di prezzemolo e olio crudo.

CONSIGLI
Se usate fagioli secchi, è importante metterli a bagno la sera prima, in modo che si ammorbidiscano a sufficienza. Per la pasta fresca sono più adatti i cavatelli di semola.
La pasta può anche non essere prevista, ma in tal caso il piatto consisterà in una zuppa da servire eventualmente con pane tostato a crostini.



Raffaella

sabato 19 gennaio 2013

Castel Del Monte: tra Storia e Mistero



Buonasera cari lettori!
Oggi vi parlerò di uno dei luoghi più suggestivi e magici della nostra splendida Puglia.
Innanzi tutto prendete una monetina da 1 centesimo.. bene sapete cosa vi è raffigurato sopra? Sapete cos'è quella costruzione incisa sul bronzo marrone? Ebbene si, questo approfondimento è proprio dedicato al soggetto della monetina, un posto così affascinante che vi consiglio vivamente di visitarlo, perché non è soltanto una semplice costruzione medievale ma è un luogo, come leggerete, ricco di misteri e leggende.



UN PO' DI STORIA:
Castel del Monte è un edificio del XIII secolo costruito dall'imperatore Federico II in Puglia, nell'attuale frazione omonima del comune di Andria, vicino Santa Maria del Monte a 18 km dalla città.
È situato su una collina della catena delle Murge occidentali, a 540 metri s.l.m. (il panorama dalla collina è davvero da togliere il fiato, vi sembrerà di essere fuori dal mondo!!).
La nascita dell'edificio si colloca ufficialmente il 29 gennaio 1240, quando Federico II Hohenstaufen ordina a Riccardo da Montefuscolo, Giustiziere di Capitanata, che vengano predisposti i materiali e tutto il necessario per la costruzione di un castello presso la chiesa di Sancta Maria de Monte (oggi scomparsa). Questa data, tuttavia, non è accettata da tutti gli studiosi: secondo alcuni, infatti, la costruzione del castello in quella data era già giunta alle coperture.
Pare fu costruito sulle rovine di una precedente fortezza prima longobarda e poi normanna. Probabilmente alla morte di Federico II (avvenuta nel 1250) l'edificio non era ancora terminato.
A partire dal XVII secolo seguì un lungo periodo d'abbandono, durante il quale il castello venne spogliato degli arredi e delle decorazioni parietali di marmo (le cui tracce restano visibili solo dietro i capitelli) e divenne oltre che carcere anche un ricovero per pastori, briganti e profughi politici.
Nel 1876 il castello venne infine acquistato (per la somma di 25.000£) dallo Stato italiano in condizioni di conservazione estremamente precarie, che ne predispose il restauro a partire dal 1879. Nel 1928 Il restauro diretto dall'architetto Quagliati rimuove il materiale di risulta all'esterno del castello e demolisce parte delle strutture pericolanti, ricostruendole in seguito per dare al castello un aspetto "ringiovanito"; questo non ne arrestò il degrado e si dovette procedere con un altro restauro tra il 1975 e il 1981. Nel 1936 fu dichiarato monumento nazionale.
Nel 1996 l'UNESCO lo ha iscritto sulla lista dei Patrimoni dell'umanità per la perfezione delle sue forme e per l'armoniosa unione degli elementi culturali del nord Europa, del mondo islamico e dell'antichità classica, tipico esempio di architettura militare del medioevo.

MITI E LEGGENDE:
Riuscire a racchiudere le bellezze storiche e le leggende di Castel del Monte in una sola pagina è un’impresa davvero ardua in quanto la sua storia si divide tra le leggende che lo circondano e i dati concreti di una storia di cui appunto si hanno indubbie testimonianze.
Anche i meno esperti possono subito notare e ammirare la forma particolare ed originale di questo castello che ben si allontana dalla struttura classica delle costruzioni di difesa militare.
Negli ultimi tempi il sempre vivo e stimolante dibattito su Castel del Monte si è incentrato essenzialmente su un interrogativo di importanza capitale per la comprensione delle sue origini e della sua funzione. Ci si è chiesto se Castel del Monte sia veramente un castello e non, piuttosto, un tempio laico edificato senza alcun aggancio con finalità pratiche, civili o militari. Il problema, dunque, investe l’identità dell’edificio che non a caso, però, continua a contenere nella sua stessa denominazione l’appellativo di castello. I sostenitori delle ipotesi che identificano Castel del Monte con un tempio, collegandolo di volta in volta all’astronomia, alla geometria e alle piramidi egiziane, partono da alcune riflessioni- a loro dire- elementari: sottolineano, infatti, l’assenza di cucine, scantinati, stalle, fossato, ponte levatoio ed elementi difensivi tipici di un castello medievale.
La sua forma ottagonale con le otto torri uguali e perfette che la circondano, la perfezione delle misure che si fanno risalire tutte all'unità minima della sezione aurea, il numero otto ricorrente in ogni suo particolare (ottagonale la forma, otto le torri, otto le stanze interne, otto i fiori sulle cornici dei portali, otto le foglie sui capitelli, e così via con una serie lunghissima di esempi) hanno stimolato la fantasia di storici e cultori dell’esoterismo.
La sua forma imponente, la sua posizione di dominio (erta su un monte che domina l’intera vallata), la forma a corona (che dovrebbe ricordare la forma ottagonale della corona con la quale fu incoronato Federico II), l’assoluta assenza di caratteristiche militari in una costruzione che sembrerebbe essere stata concepita come una fortezza, la leggenda che voleva al centro del cortile del castello una vasca anch'essa ottagonale che doveva rappresentare il Santo Graal e che ora non vi è più, la sua posizione studiata nei minimi particolari di modo che nei giorni del solstizio e dell’equinozio (quattro volte all'anno)  le ombre disegnino messaggi geometrici importanti,  arricchiscono di suggestione, leggende e misteri un luogo che è già suggestivo di suo.
Al turista che si ferma in questo luogo magico e storico, non resta altro che accogliere il silenzio di questo immenso castello e lasciarsi invadere dalla forte energia di questo luogo. 
Consiglio a tutti i lettori che visiteranno la Puglia di includerlo come tappa del viaggio perché vi assicuro sarà davvero un’esperienza immemorabile!




mercoledì 16 gennaio 2013

Ricetta 9: Teglia Riso, Patate e Cozze


Buonasera cari lettori,

Questa settimana vi proponiamo un piatto tipico barese, per gli amanti del pesce! 
Una pietanza da servire a pranzo (ma va bene per qualsiasi occasione).
Come avrete già letto dal titolo, la pietanza presenta come ingredienti principali le cozze e le patate.
Vediamo quali sono gli ingredienti e il procedimento:



INGREDIENTI PER 4 PERSONE:

1kg di cozze (cozze tarantine)
400 g di riso (una varietà che non scuoce)
5 o 6 patate medie
3 cipolle medie
50 g di pecorino grattugiato
1 spicchio d'aglio
1 ciuffo di prezzemolo
sedano
olio extravergine d'oliva
sale e pepe


PROCEDIMENTO:

Lavate bene le cozze, sotto l'acqua corrente ed apritele a mezzo guscio con l'apposito coltello (il guscio senza mollusco va buttato).
Pulite le patate e tagliatele a fette spesse, sbucciate ed affettate le cipolle, spezzettate il prezzemolo con l'aglio ed il sedano.
Ungete con l'olio una teglia con bordi alti dal diametro di 30 cm circa.
Realizzate degli strati nella teglia iniziando con uno di cipolle, continuando con uno strato di patate, distribuite quindi il trito di prezzemolo sedano ed aglio, uno strato di riso e le cozze con il mollusco rivolto verso il basso.
Distribuite sullo strato di cozze sale e pepe; ripetete l'operazione fino a riempire lo stampo.
Create l'ultimo strato con le patate affettate, riempite la teglia d'acqua e distribuite in superficie abbondante sale, pepe ed olio.
Infornate la teglia per 40 minuti a 180°C.

Verificate durante la cottura che l'acqua sia sufficiente, in caso contrario aggiungetene la quantità necessaria per terminare la cottura.

Buon Appetito!!

venerdì 11 gennaio 2013

Sant'Antonio Abate e la Fiera del Fischietto


“L’Epifania: tutte le feste si porta via”. Questo detto è vero per la maggior parte d’Italia. Ma ogni rutiglianese doc sa che in realtà dopo l’Epifania c’è un’altra festa che viene attesa da grandi e piccini. La Fiera di Sant’Antonio Abate. La fiera si tiene il giorno di Sant’Antonio Abate, ovvero i 17 gennaio, ed è divisa in due parti:  la festa degli animali e la festa del fischietto in terracotta. In rutiglianese la festa è ricordata in 2 modi: “Sand’Anduene Maskere e suene” (Sant’Antonio maschere e suoni) perché tradizionalmente la festa coincide anche con l’inizio dei festeggiamenti di carnevale. Ma si dice anche “Sand’Anduene Friske e suene” (Sant’Antonio fischi e suoni) in chiaro riferimento all’evento più importante delle festa: “La sagra del fischietto”.
La tradizione  vuole che Sant’Antonio Abate sia il protettore degli animali. Infatti l’iconografia classica usa rappresentare il Santo sempre accompagnato da un maiale. Ogni 17 Gennaio, come da tradizione, il prete rettore della Chiesa di San Domenico e quindi della vicina chiesetta di Sant’Antonio, si preparare al momento solenne della benedizione degli animali. Essa avviene nella pineta cittadina ed attira un pubblico vastissimo, per lo più bambini e contadini, che portano i loro fedeli compagni a “farsi benedire”. Dai tradizionali cani, gatti, cavalli e muli, ai maiali, criceti e canarini; sino ad animali più inusuali. Si tratta di un momento di festa che avviene il primo pomeriggio e che anticipa la vera e propria festa che inizierà il tardo pomeriggio.
Sant’Antonio è considerato il protettore del fuoco. Perciò in questo giorno le donne non cucinano, ma si mangia cibi cotti nei giorni precedenti oppure cibi pronti come frutta secca.
Rutigliano è considerato il Paese della Terracotta. E seppur la sagra del fischietto è una festa piuttosto recente (la prima edizione risale al 1989), la tradizione di forgiare suppellettili in terracotta, tra cui degli antenati dei fischietti, risale addirittura all’epoca della Magna-Grecia. Nella Necropoli di Azezio, sito archeologico di Rutigliano, sono stati infatti rinvenuti all’interno delle tombe questi suppellettili in Terracotta. I primi suppellettili, da molti studiosi ribattezzati “protofischietti” avevano forme varie: antropomorfe, zoomorfe e valenze valerie: potevano essere di carattere ludico, cultuale e magico. Quando Azezio fu distrutta dai Sareceni nell’829 d.C., l’arte di produrre con la terracotta proseguì per tutto il medioevo nella città di Rutilianum (nome con cui fu ribattezzata la città), nonostante i prodotti fossero per lo più oggetti semplici e di uso domestico. L’arte figula è proseguita dal 1300 al 1800, con un boom nel ‘900. Addirittura esiste ancora la via dei figuli, che appunti è conosciuta come Via Figuli. Il carattere ludico dei fischietti è stato ripreso dalla più antica tradizione, e ad essere le vittime della satira figula sono i politici, nostrani e non. Ogni anno infatti il Comune approva un tema sulla cui base i figuli devono realizzare il fischietto per il concorso. Attraverso le giurie (tecnica e popolare) si sancisce il vincitore. Inoltre partecipano al concorso gli studenti delle scuole del paese, smistate nelle giuste categorie: questo ha fatto sì che anche nelle nuove generazioni ci è stata una riscoperta di un lavoro tradizionale antico come quello dei figuli.
Per riderci su
Una tradizione tipica rutiglianese vuole che il fidanzato regali alla fidanzata un fischietto a forma di galletto come pegno d’amore. Nulla di strano se non che la tradizione che il fischietto sia di buon auspicio per la coppia solo nel caso in cui il “fischietto” fischia. Nel malaugurato caso in cui esso non fischi la coppia non avrà una vita ricca di figli e fertile. Secondo alcuni infatti il fischietto altro non è che il simbolo del membro maschile, quindi l’assenza del fischio va interpretata come l’assenza di virilità e fertilità maschile. Ma sono solo tradizioni!
La tradizione del fischietto a forma di Carabiniere
La storia narra che nel 1799 i rutiglianesi avessero malvisto il tentativo di dominazione e saccheggio francese perpetrata dalle truppe napoleoniche (come era avvenuto per altri paesi vicini). Decisero così di mandare via i francesi costringendoli alla fuga: era il 6 maggio 1799. Alcuni contadini si recarono in Contrada San Martino, un piccolo colle nelle vicinanze del paese. Qui accesero dei fuochi e iniziarono a fischiare all’interno dei fischietti in modo assordante. Nel frattempo una mandria fu lasciata libera di correre verso il paese con al collo dei campanacci che facevano un rumore assordante. Contemporaneamente le donne rutiglianse accorsero nelle dimore dei francesi avvisandoli dell’arrivo delle truppe dei Borboni. I soldati, spaventati dal chiasso e chìonvinti che la nube di polvere provocate dal bestiame fosse realmente dovuto a una truppa in attacco, fuggirono terrorizzati da Rutigliano, lasciando lì anche le innumerevoli ricchezze che portava con sé dopo i numerosi saccheggi ai danni di altri peasi. Si narra che gli artigiani del paese, in ricordo di questi avvenimenti, abbiano decisero di creare dei fischietti che rappresentavano in pose buffe “questi uomini in divisa”. In seguito all’Unità d’Italia questa tradizione si è mantenuta seppur con delle modifiche: anziché i soldati francesi, oggi “vittime” illustri dei figuli rutiglianesi sono i Carabinieri.

Loredana

mercoledì 9 gennaio 2013

Ricetta 8: polpette di pane


Le polpette di pane sono fatte con il pane vecchio. Questa ricette infatti permette di recuperare quel pane che altrimenti andrebbe buttato. Si tratta di un piatto economico e veloce e fa parte della cucina contadina.

Ingredienti:
pane raffermo (circa 100g);
2 uova;
sale;
aglio;
formaggio grana;
prezzemolo;
bicarbonato;
olio per friggere;

Procedimento:
Prendiamo il pane raffermo e lo mettiamo a bagno in una coppa piena di acqua. Quando il pane si sarà ammorbidito, lo strizziamo e lo mettiamo in un’altra coppa in cui metteremo anche le 2 uova, un pizzico di sale, il formaggio e 1 aglio e il prezzemolo finemente tritati. Ora lavoriamo il composto con le mani sino a creare un impasto uniforme che non sia ne troppo liquido (in questo caso aggiungete un po’ di formaggio) e ne troppo denso. Aggiungiamo un pizzico di bicarbonato per far sì che le polpette si gonfino e siano morbide. Ora possiamo prendere l’impasto e fare piccole palline, Dopodichè le friggiamo nell’olio, Quando le polpette saranno cotte le togliamo dall’olio e le riponiamo sulla carta assorbente per farle sgocciolare. Ecco pronte le vostre polpette di pane. Esse sono ottime da gustare prima di pranzo come spezza-fame oppure, se siete buongustai, si possono mangiare come secondo piatto dopo averle lasciate dentro il sugo semplice o di carne. Avreste mai immaginato che un piatto “alla poverella” potesse essere così buono?

venerdì 4 gennaio 2013

Appunti su...una passeggiata per Molfetta



La città di Molfetta, per la sua posizione geografica privilegiata, ha un'origine molto antica, infatti ci sono testimonianze di presenza umana risalenti al neolitico e ha una lunga storia nei secoli successivi.
Per questo motivo, la mia città, attraverso le tradizioni linguistiche, gastronomiche e architettoniche, ha la possibilità di attirare il turismo.
In questo approfondimenti, quindi, vorrei fare una passeggiata nella città scegliendo alcuni d'interesse storico e archeologico e cercando brevemente di presentarli.

Il Pulo di Molfetta: è una dolina carsica di crollo situata nella periferia della città, che viene aperta nel periodo estivo e nella quale è possibile notare tracce archeologiche di diversi insediamenti avvenuti nel tempo.

Il centro storico: era anticamente chiamato"Isola di Sant'Andrea", perché in passato era quasi totalmente staccato dalla terraferma. Questa cittadella è caratterizzata da una pianta a spina di pesce, mura esterne affacciate sul mare e due porte d'accesso. Attualmente il centro storico è in riqualificazione e, nonostante sia possibile visitarla per intero, solo alcune zone sono state restaurate e attualmente ospitano pub, ristoranti e negozi.  Merita una visita il Torrione Passari, un'antica abitazione che comunica con una massiccia torre affacciata sul mare.

Duomo di San Corrado: costruito tra il 1150 e il 1200 e situato nella parte più esterna del centro storico, è un esempio di romanico pugliese, con tre cupole in asse, una torre campanare e una torre d'avvistamento utilizzata in diversi periodi storici per segnalare l'arrivo di navi nemiche nel fiorente porto molfettese.  

La Basilica della Madonna dei Martiri e l'ospedaletto dei crociati: La chiesa risale al 1162, ma ha subito diversi cambiamenti nel tempo, ma la sua rilevanza, non è legata alla struttura(anche se presenta al suo interno numerosi dipinti), quanto alla sua storia. Molfetta è sempre stata una città d pescatori e la Madonna dei Martiri è sempre stata un simbolo di salvezza per questa categoria. Oltre a questo la presenza dell'ospedaletto de crociati valorizza l'antichità della struttura perché la città, durante le crociate, era un porto di partenza e di ritorno dalla Terra Santa e ospitava i combattenti per ristorarli.

Vi auguro una buona passeggiata!
Enza

mercoledì 2 gennaio 2013

RICETTA 7: Calzone molfettese

Buongiorno e buon anno a tutti!
Come prima ricetta di questo 2013, voglio proporvi un piatto unico tipico di Molfetta, che fa parte della nostra tradizione culinaria legata alla pesca e al pesce.
Sto parlando del "calzone" che è un piatto che si fa in tutta la Puglia, ma che nella mia città ha una variante particolare. Buona lettura!


Calzone Molfettese
Ingredienti:

Per l’impasto
800 g di farina 00
40 g di lievito di birra
due cucchiai d' olio d'oliva
Sale
l'acqua tiepida qb per ottenere un impasto non appiccicoso

Per il ripieno
500 gr. di filetti di merluzzo fritti o lessati
500 gr. di  cipolle sprenzali (germogli di cipolle) bollite e soffritte con 50 ml. d'olio d'oliva,
500 gr. di cimette di cavolfiore bolliti e poi soffritti,
olive verdi e nere snocciolate
acciughe salate e tritate
Pomodorini
Olio
Prezzemolo


Preparazione
Pulite e lavate le cipolle, tagliatele a piccoli pezzi e mettetele in una pentola ; aggiungete un po’ di olio, pomodoro, prezzemolo, sale e lasciate cuocere a fuoco basso.
Preparate la pasta unendo la farina, il sale e il lievito; aggiungete l’acqua tiepida e impastate e lavorate il tutto finché non risulterà non appiccicoso. Lasciate lievitare per 60/90 minuti; dopo la lievitazione occorre dividere l’impasto in due parti, una più grande del'altra e occorre
tirarle a sfoglia col matterello. Una volta stesa la pasta, oliate una teglia e stendete la parte più consistente dell'impasto sul fondo della teglia facendola aderire.
Mettete la cipolla precedentemente preparata e rendetela uniforme su tutta la base. A questo punto stendete i pezzi di merluzzo spinato, precedentemente fritto o lessato(a seconda dei gusti) e le olive ed infine coprite il tutto con la restante pasta sigillando bene i bordi e formando un cordoncino piuttosto spesso. Prima di mettere il tutto in forno praticate dei forellini con la forchetta per evitare che la pasta si gonfi durante la cottura.
Spennellate un po’ di olio, un pizzico di sale fino e infornate a 220° per circa 40 minuti.


Il calzone è un piatto unico molto apprezzato a Molfetta e diverso da quello delle città limitrofe dove non viene aggiunto il pesce, ma si usa come ripieno solamente la cipolla.

Buon appetito!

Enza